LA MERCA: SOUL BRANDING

INVITO ALLA MERCA-TURA, LA LETTERATURA DELLA MERCA
di JACOPO RICCARDI

 

 

À rebours, ma anche in profondità. Leggere l’opera primeva di Daino in chiave retrospettiva, al termine della lettura dell’opera tutta sua edita, consente di seguire nei due sensi di marcia un itinerario, attraverso i più rilevanti marca-sentiero.

La debita premessa è la ristampa, fortemente voluta bottom-up (perché comunque ci vuole anche culo) de “La Merca” da parte di Fara editore (20061; agosto 20122). Cinque anni prima de “l’Eretista”, testo di mole e di articolazione maggiore, Daino [e]ruttava un volumetto snello, dal titolo pregnante, “La Merca”, appunto.

In epigrafe sta scritto “Voi sapete cos’è la merca? È un marchio”. L’asciuttezza definitoria è solo un indirizzo superficiale al lettore, uno sprone ad affrontare le parole come un rompicapo ligneo. La “merca” è il marchio con cui sono segnati a fuoco i capi di bestiame. Un segno di proprietà, uno sfregio, un tatuaggio limitativo, un atto di forza che l’animale subisce. Gabriele D’Annunzio (Forse che sì forse che no) rendeva con animo bruzzio la violenza sottesavi: “la prodezza del buttero nel giorno della merca? La bestia legata e sollevata e marchiata per la servitù”. La merca è uno stupro, che ti segna. La merca ti fa prodotto, ti fa merce. Sei sul mercato, il mercato delle vacche[1]. Merca, attraverso merce/mercato/mercare (verbo che appare anche in Dante) ti proietta al mercimonio. Perché il cuore del romanzo di Daino è la reificazione. Il percorso 2006-2012 della Dama è ricco di evoluzioni, ma è fedele a questo tema, che ha radici autobiografiche inevitabilmente più evidenti in un’opera prima[2].

Il segno dell’alcool, delle sigarette fumate in una catena consapevole di autodistruzione, l’anoressia (campo ovvero tema sul quale la letteratura scorrazza fin troppo liberamente) sono tutti marchi (merche) di Jenny (il cui nome è, ci svela l’Autore in una sorta di sigla di coda, di postfazione, di commiato, un riferimento a Jenny è pazza di Vasco Rossi).

La parola d’esordio è un esclamato “merda”. Non è scatologia, ma escatologia, perché le cose ultime e le cose prime si toccano. Merca/Merda fa scaturire il bisticcio su c/d, che al contempo è il cd musicale (la musica di Vasco, il Metal, colonne sonore) ed è la sigla dell’Autore, la sfraghìs.

Compaiono nella merca i ludi verbali (omografie ed omofonie[3], omoteleuti, rime al mezzo, schizzi enigmistici[4], feticismo etimologico[5]…), riferimenti ad un orizzonte culturale classico specifico (l’interpretazione colliana dell’arco di Apollo, bioV/bios come “arco” e come “violenza” – Apollo l’obliquo – p. 14; il trittico “il fisico, il mondo, la perfezione” p. 19 traducibile in “physis – mundus – kosmos”, i molteplici cammei letterari (Shakespeare, Melville, la Alcott…), musicali (la Caselli, Samuele Bersani, Vasco, Palconudo, Simon & Garfunkel, ecc.), l’alveo metallaro.

Il verbalismo si fa gioco strenuo in talune circostanze bizantine, come l’attacco del capitolo “Silenzio!” che secondo una tradizione inveterata si scioglie in una melodia sonora sibilata (come nella canzone di John Harle). Ma la scatola è più raffinata: si susseguono 45 parole contenenti la sibilante, al centro (in 23° posizione), la parola “consolatorio” attribuita al “gesto” della sigaretta-pseudorimedio. “Silenzio” ricorre 9 volte, numero sacro e divino; “sigaretta” (anche al plurale) compare 7 volte, numero apocalittico. “Stanza vuota. Stomaco pure”, parole con le quali il passo inizia, gioca sul valore sinestetico del vuoto “fisico-corporeo” (anoressia) e del vuoto “fisico-spaziale” (solitudine; parola di clausola) su cui la sigaretta prova ad insinuarsi, senza rompere l’assordante silenzio ma anzi amplificandolo: la “stampella” è “fallace”, anzi è “sicario”, è racchiuso qui in prolessi il finale del romanzo e viene descritto con dolorosa consapevolezza l’horror vacui (medievalissimo) dell’Autore che per questo si sfonda i timpani con la musica (p. 55; ed infatti non sa tenere un tono di voce normale, anche nella realtà extra-letteraria).

Lo strumentario c’era tutto, si è sviluppato, si è raffinato. La paranoia, negli anni, si è incistata, ed il corredo delle note è aumentato, mentre ne “La Merca” sono solo 23, molto asciutte. Ma il sound di fondo c’era già tutto, a volte in nuce, a volte all’opposto più estesamente espresso di quanto invece non sia, nelle opere successive, condensato in versicoli o frasi enigmatiche: valga a modello la (sprecata) lezione di vita (sprecata) di pp. 21-24.

La componente pornografica, che esploderà nell’opera in versi, ha già ne “La Merca” ben precisi canali: il seduttore-approfittatore, il sesso orale[6], la violenza subita. Anoressia del sesso, anche: il cibo entra per uscirne rigettato, così come lo sperma (p. 40) schizzato in realtà non riempie, ma svuota, e colando porta con sé linfa sana: ossimoro, glifo scelto come insegna.

Cosa dunque sta tra “La Merca” e l’opera susseguente? Sta un’evoluzione di volumi, sia librari che alcoolici. Ci sta una serie di sigarette che dal “mozzicone” con cui si Jenny si manifesta (p. 13), di sigaretta in sigaretta (p. 14), va all’ultima (p. 116) per morire come Jenny e rinascere (“Virus71”, “Lupus Metallorum”) come Dama. La risorgenza che non è ruminazione, ma itinerario su scalini di metallo attraverso regni danteschi, paradisi baudeleriani, pipelines colme di Beck’s, e qualche centinaio di succhiamenti.

Un invito alla lettura deve attingere, trapanare in alcuni punti come un saggio [geognostico] con la carotatrice, e quindi queste linee qui si troncano. Non prima di evidenziare che il tema Dainiano principale, l’Amore, era anche il cuore de “La Merca”, presentato nella iperclassica endiadi “amore-e-morte” (la morte come “puttana fedele” che si concede a tutti è emblematica in tal senso, p. 89) e siglata dalla citazione di Novalis (p. 109) che fa da assist narrativo alla conclusione, che deve più di un debito al “Testamento di Tito” di Fabrizio De André.

Debbo alla grande confidenza di una serata irripetibile (come avrebbe pensato Eraclito), infine, la comprensione del “perdonato tutti” di p.120. Ma questa, scusate, il commentatore la porta con sé.


[1] “Giovane Giovenca, Jenny si sentiva una mucca: nutrita, munta, montata e smontata…” dove si assiste 1) a quello che sarà un classico dainese, ovvero la consonantizzazione accentuata della quasi mugiens littera (Quint. Inst. 12,10,31) qui imperniata proprio sulla mucca, 2) al richiamo mitologico ad Io mutata in giovenca e posseduta da Zeus, 3) alla triplicazione del suono “g” in giov/giov/j , 4)  al richiamo pornografico montata-smontata (cfr. anche “mento munto” p. 76).

[2] Il colore degli occhi (p. 16; p. 25), la birra preferita (p. 25), le coloriture della chioma (p. 71), il Pampero a golate (p. 81) e poi l’analisi, il rapporto con gli uomini e con la sessualità, la stilistica ardita….e l’imperniarsi sull’io (p. 39; ma ancor meglio “io/delir-io/tripud-io” a p. 38).

[3] E.g. “…logorroico…logorata…lontana” (p. 24); “pose…sposa…posata” (p. 18); “ostinata…ostile…ostensorio / istinti” (p. 28); “ballare…sballarsi” (p. 60); “musicata…musa” (p. 61), “ego egoista egocentrica egotista” (ivi), “stratagemma…stratega…strega” p. 93).

[4] E.g. il maiuscolo Si di “alzarSi” a p. 13 cui ribatte in enjembement il “No” di replica; l’esclusione dell’interpunzione in “miglio verde bile” (p. 17) che permette l’allusione al romanzo di Stephen King (1996) diffuso nella versione filmica con John Coffey (1999); “Argentino e tanto” in primo rigo, dove la “atmosfera prensile” del sogno interrotto è quella di un sogno erotico con un bel sudamericano – ma al contempo si crea un gioco consonantico tra “tanto” e “tango” sotteso per richiamo logico a “argentino”.

[5] “…modelle pronte alla sfilata, bestie pronte alla parata” dove oltre all’isocolia stanno il richiamo alla pratica della “merca” ed il gioco etimologico tra pronto/paratus/parata.

[6] “…superava gli esami del sangue con brillanti esami orali…” (p. 26); ma già a p. 25, e poi p. 47 e l’efficace “birra e sborra” di p. 51 e, ivi, “dopo aver ingoiato la sua coscienza cum il suo piacere” ripreso (appunto) nel latino cum gula di p. 66; p. 62.

 

LUPUS @ BLU DI RAVECCA

Locandina

Daniele Assereto_Chiara Daino @ Blu Di Ravecca

La forza del vampiro è che nessuno crede nella sua esistenza [ Bram Stoker]

Martedì 10 novembre (dalle 18.30 alle 20) Chiara Daino sarà presente al Blu di Ravecca, nell’omonima strada del Centro Storico che collega Piazza Sarzano a Porta Soprana, per una nuova rassegna di poesia e canzone d’autore: aperitivi poetici, appuntamenti con poeti, cantautori, scrittori e performer che a partire da ottobre animeranno il locale.

  • … lo avevo immaginato che avrebbero fatto di tutto per difenderti
  • … è QUESTO il tuo sbaglio più grande… Credi che da sola non sappia difendermi?

APERTIS VERBIS [ A CHIARE LETTERE ]

12-06_[2]_Dama

http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1743


UN LIVIDO MARCHIA LA LUNA MUTA

« e la Crosta era priva di pieni di vuoti,
e l’ombra era riga in viso di Croda… »

 [A Bruise Upon The Silent Moon, Cradle Of Filth ]

http://www.genovatune.net/evento.php?id=3433

 

12_giugno

Reduce da quello che [ mi piace chiamare: ] “il giallo di Dio”, ritorno e ringrazio: Daniele Assereto, Guglielmo Amore e Luciano Zambito – per il supporto [ sonoro e sensibile ].

 

DELLA POETICA DELLA PENISOLA

raindogs-poetry-night

Poetry Night. Notte della Poesia. Neverending Night. Notte continua e cronica: nel come si cronaca – “la Poesia è morta”. [ E i poeti? Clonati. Come pecore: pullulano e paupulano nel recinto asettico dell’Arcadia artificiale… ]. La Poesia non è morta. Il mortifero/morticida “miserere” mortifica e massifica. E ne sono certa. Convinta r’esista: ottima Poesia. Come pessime persone  [ che si dicano poeti NON è un problema mio ]. E carico il miocardio: mettiamo i puntini sulle ” O ” di  Motörhead! Non ho NESSUNA INTENZIONE di rinunciare al progetto, al palco, alla poetica metallica. Alla mia vena venena.
Lo studio serve. E vi ha reso servi. Enciclopedici tuttologi reazionari passatisti poetologi miei – servi che non mi servono. Che non chiedo, che non chiamo: uno status. Io sento. Sento come chi sente. La frase felina e ferina: “TO SEE, TO BLEED CANNOT BE TAUGHT”. Lo sapete? Lo vedete? Vi piaccia o meno: è un dato. All’anagrafe. Nel prima nel poi [ augurandovi tutto il vegetare possibile ]: dovrete farvi da parte. Sorridete: tocca a noi. La parola prossima.

chi deride, chi affolla il varco

e si taglia la gola, l’un l’altro,
come neve sciolta – sfuma


ai loro occhi saremo sorti

noi: con le pupille in fiamme!
e allora: chine le loro teste
vili e deposti i loro cuori

 

noi – a ridere – dei loro scudi

di sensi. loro a cedere – a carponi.

e sarà chiaro per tutti. sarà chiaro:

questi cuori: sono stati. fusi e saldi:

Metallo. Troppo duro da spezzare

 

Troppo duro per essere – stretto

DA: LUPUS METALLORUM

Piccola premessa: nell’iconografia alchemica il Lupus Metallorum è il Lupo dei Metalli che divora il leone per liberarlo, è il procedimento per raffinare l’oro impuro mediante l’antimonio. Nell’iconografia classica l’Aurea Poesia sposa Petrarca e non, ad esempio, i Pantera. Nell’immaginario collettivo il “poeta contemporaneo”, nuovo cantore della nostra epoca, può vestire i panni di un cantautore [ serio, posato e socialmente impegnato ], ma non il chiodo, gli anfibi e le borchie. E perché? La Repubblica delle Lettere, la solita cerchia – incensa e canta la solita solfa: «questa è Poesia!», «questa non è Poesia!». E perché Fabrizio De André è un poeta e Dave Mustaine no? Da questa semplice domanda è nato tutto. Due o tre anni fa, convocata per l’ennesimo reading poetico, declamai Il Triste Vero, con strette di mano e complimenti per versi “particolarmente incisivi”. E fu la prima volta che sorrisi, la prima volta che ammirai [ candida carogna! ] i critici presenti – impallidire. Non pensavo potesse essere “sconvolgente” rivelare che, in realtà, Il Triste Vero è semplicemente una traduzione [ poco letterale, per carità, ma sempre di traduzione si tratta ] di Sad but True dei Metallica. Eppure successe: i “poeti puri” impallidirono, gridando: «sacrilegio!». Eppure succede ancora: i “poeti puri” impallidiscono quando, alle presentazioni di “libri seri”, vedono nel pubblico uno “strano gruppo” vestito di nero, con i capelli lunghi e lo sguardo attento…

E così, quasi per sfida, quasi per gioco [ un gioco grave, la tenera tomba che resuscita emozioni ] nasce Lupus Metallorum: canzoni di metallo nobile. Traduzioni che seguono il suono, che piegano l’italiano al senso di comunione, lontano dai pregiudizi, lungo il monito di Majakovskij: «leggete libri di ferro!».

 

avvertenza per i poeti puri: questa è la mia Poesia. Questa è la mia dedica: Ha messo la sua testa il domatore/nella gola del leone/io/ho infilato due dita solamente/ nel gargarozzo dell’Alta Società/Ed essa non ha avuto il tempo/di mordermi/Anzi semplicemente /urlando ha vomitato/un po’ della dorata bile/a cui è tanto affezionata/ Per riuscire in questo giuoco/ utile e divertente/Lavarsi le dita/accuratamente/in una pinta di buon sangue/A ognuno la sua platea [ Jacques Prévert ].

A ognuno la sua platea!

 

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E si ringrazia: Cesare Oddera & Raindogs House, Mirko Servetti e chi.

Sempre: Daniele.

E si croma: a Savona…

Chiara Daino