Cari kinematrixiani,
Miei occhi silenti, sono reduce da giorni senza posa – nessun tempo di ripresa, ma ho girato. La ruota del carretto: ho gridato, ho gettato le frasi e il farsi corpo – in faccia a tutti (e alla faccia di tutti quelli che non ci credono, mai!).
Un film lungo una settimana: UBERFRAU (per il titolo si ringrazia Ronald Lewis Facchinetti e il suo ri-battezzarmi).
Uberfrau scende dal tetto e si dedica al letto: promuove il suo scritto. Trova sostegno e dialoga: passa dal megafono al microfono, alla voce pura – Aria! Uberfrau finalmente respira, arde e si commuove. Uberfrau ama: è pubblico – si sa e quanto Uberfrau lo ama! Felice femmina infiamma e mille fiati (e Millefiore) e mezzenotti in mista di poeti, attori, fotografi, architetti, pittori, registi… E chi più emozioni ha, più ne metta!
Come ogni plot che si rispetti: scatta la goccia che rompe il vaso – e Uberfrau si rompe e riduce a pezzi chi la vuole seccare. Il torrente scarlatto “si deve arginare” e Uberfrau si spoglia del sorriso e torna Lupa: dalla penna alla zanna! Lei è sopra le righe, lei è fuori di testa – ma è dentro la vita. Non si evita né il sesso né la sofìa, mischia gonne corte e occhio lungo, provoca e propone: il pronome personale. IO che vogliono tacere IO che non può cambiare il mondo IO che non serve perché tutto è già scritto/fatto/detto IO che gli amici sono scomparsi IO che trovo altri ( e migliori!) IO che non può vivere di arte IO che senza un uomo non è.
IO che non lecco ferite e sono già in differita: partita – verso un’altra meta. IO che significa: in prima linea. E fila via da ogni cometa (decadente!)
Sola non è
stampella
la sola che
è quella: si cerca
(e ancora rivolta)
per attraccare il
bottone
nudo di filo
rosso baratto:
carne al cane
digiuno di tana ha fame
randagia – ne reclama:
è in cerca di spoglie
per farne un paio al
buio del suo assolo
e viene tardi la luce
si tenta e rimanda –
a domani:
e non pretendere
chi rimane non è
l’una
non prilla riflessa
è sola e le basta
in testa (batte la
ressa di p’avidi)
Uberfarau è Lupa: compone e scompone. Lei indispone – e nel suo verso consacra anche il volgare. Non si può? E chi l’ha detto? Qualche guru del “come va scritto”? Io te lo canto: “dicono sia una strega, tanto lei se ne frega. Ai giudizi degli altri non fa neanche una piega” – e sia Vasco e non ci casco nella tua rete che fa di tutto il mazzo prigione “non saremo mai grandi quanto loro”. Tu guarda indietro, io mi guardo le spalle e sento a pelle.
E risento le voci (riportate) di un “collega”: « non mi piace come scrive, ma la scoperei. Sa di sadomaso». E della carne di porco (è c.s., non p.s., no pig just pork!) – ne faccio carme:
*
NON MI MISCHIO
NON MI MASCHIO
(il mio è màs è sacro)
Sono nell’occhio
del ciclone – non
Il primo; non del
primo – coglione
che si riempie la
bocca di lumaca
– non sborrare in
Vano: doccia è
fredda per chi
gode – la folla
mi bagno con
perle di – puro
non con trito di
cazzo duro
E vuoi scoparmi?
Sado Naso sbagli
Liuto: non ascolta
Visto di gatta
Non è permesso
È balzo di lusso
Non un pene di consumo
la mia scala è stretta, più
della gonna – è: devasta
ogni tua chele
non mi pinza
io: pensa!
Sei comune denominatore
– maschio: non domina NO!
Secco sul tuo: io non uso chi
Uomo con maiuscola – non è:
non mi ha!
Metallica è Signora
È pupara – e spara!
Mi giro una siga
e tu sfumi nella
sega – nel verso
che fiera rende
poesia
è mia!
Dama non trema
e non si frena chi
carisma nel tutto
di un prisma blu
Ti rompo il ghiaccio
al fuoco bipolare del
mio r’esistere – viva!
Con affetto per quelli (che sono a fianco) con effetto (disgusto) per gli altri.
Chiara Daino (più Chiara che mai!).
POST-ILLA I: occhi A Pampinedda, giuro che se il mio cuore murato fosse sbattuto da AMMORE, saresti il primo a saperlo.
POST-ILLA II: io tengo gli occhiali da sole, semp-Re!