I DID IT MaY WAY


[intervista Borchiata in Chiave Alfabetica:
Dama Daino conversa con May Manager]





ALCHIMIA E AGENZIA
Operare per promuovere altri. Perché?
Perché personalmente non ho Opere mie da promuovere. Alchimia è parola ‘magica’. L’Alchimie des Ténèbres è il nome che scelsi per fondare l’Agenzia di Management, Booking e Promo Underground in Francia nel 2009, diventata poi L’Alchimie Agency e recentemente I.D.I.A.
Per alcuni anni mi sono esibita: spettacoli di danza e cabaret, puro café théatre. Mi divertivo, ma col tempo mi sono stufata. Essere dall’altra parte del Palco è diverso: meno egotico e meno immediato, ma mi gratifica maggiormente e mi dona soddisfazione, potente e altra.

BRAVURA E BRUTALLARA
Nel Multiverso Metallaro, perché scegliesti di rappresentare gruppi estremi o “di nicchia”?
Non mi piace il termine ‘nicchia’ (che è una sorta di sottobosco nell’Underground). Per me non è sinonimo di qualità e, per la maggior parte delle band, è una trappola: è un termine settario. Io lavoro con – e per – l’Underground.
Lavorare con band conosciute porta soldi facili e notorietà: l’ho fatto spesso per conto di altre agenzie, ma non mi divertivo e non condividevo il modus operandi. Esistono miriadi di bravissime band Underground, nazionali e internazionali, in cerca di serietà e di professionisti specializzati per quanto concerne il Management, la Promozione e il Booking.
La maggior parte di chi suona nell’Underground ha un lavoro alimentare, poca conoscenza dell’ambiente e pochissimo tempo per potersi occupare anche del lato ‘commerciale’. Lavorare con band sconosciute o poco conosciute per diffondere i loro spartiti – è una sfida: richiede passione e abnegazione, tanto lavoro, tanta pazienza, competenza infinita. È un delirio molto stimolante.
Per quanto riguarda invece il perché dell’Xtrem – forse lo prediligo non essendomi mai piaciute le cose tiepide (in ogni ambito)! Battute a parte, ascoltare musica Xtrem mi ha sempre aiutata a pulirmi dalle ‘scorie’ energetiche negative e a canalizzare una certa rabbia, una rabbia certa. Una sorta di catarsi insomma.

CONOSCENZA
I migliori e i peggiori che incontrasti? [Non esigo nomi: soltanto cognomi].
I migliori in assoluto senza alcun dubbio: Gabriel Mafa dei Negura Bunget (rimarrà sempre presente nel mio cuore, anche per la sua dolcezza) e Sakis Tolis dei Rotting Christ (uno dei migliori frontman di sempre, disponibile, comprensivo e dalla mentalità sbrigliata). Per quanto riguarda i peggiori (cercherò di essere delicata e diplomatica): i disonesti e le pseudo ‘rockstar’ (l’arroganza, l’ignoranza e la maleducazione che procedono di pari passo) meritano soltanto uno sdegnato silenzio.
Mi fermo qui. Il resto, nel dettaglio, lo svelerò nel libro che prima o poi pubblicherò.
[Dlìn Dlòn, comunicazione di servizio: si avvisano editori truffaldini che May vanti Daino da guardia; N.d.R.].

DESTINO
Credi a Crono? Un gruppo vale se vince il tempo o ogni tempo ha il suo gruppo?
Più che a Crono credo all’Intelligenza del gruppo meritevole. Un gruppo oggi vale se ha la mentalità adatta per muoversi nell’ambiente, se capisce l’importanza di interagire nel modo giusto con chi ci lavora e se dialoga col pubblico che cambia. Questo fa sì che un gruppo duri nel tempo. Un esempio? I Rotting Christ: hanno saputo farsi amare anche dalle nuove generazioni grazie ad un’evoluzione nello stile (che piaccia o meno ai puristi), costruendo ottime relazioni con gli addetti ai lavori e con il pubblico.
Ovvio che ci siano le meteore sbucate dal nulla (spesso pagando profumatamente chi di dovere), ma durano il tempo di un tuono e finiscono nel dimenticatoio.

ESSERE
Essere o fare? May, è AUT-AUT? «Essere Artista» o «fare l’artista»? Medesima fuffa? Coscienza della stoffa o stessa spocchia? Tutte menate da critico segaiolo? E quelli che si definiscono «artigiani» dello spartito?
Secondo me non si può ‘fare l’Artista’: o lo sei o non lo sei. Puoi fare il musicista, lo scrittore, il pittore ed essere bravissimo, ma non sei automaticamente un Artista. Come non basta ottenere un diploma o un premio, un certificato o una laurea (rimango sul vago) per diventare Artista. Conosco sia musicisti autodidatti che considero Artisti puri, sia musicisti con mille attestati che chiamo “virtuosi dello strumento”: tecnica eccellente, ma passione carismatica? Non pervenuta. Secondo la definizione di Arte, l’Opera deve suscitare: se non lo fa non è Arte. Se non lo sai fare – Artista non puoi essere.


FRANCESE
Misogallo o Vive la France?
Touché! Avendo vissuto più all’estero che in Italia (e la maggior parte della mia vita in Francia), avrei tanto da dire. La prima volta che andai in Francia in vacanza, mi piacque al punto da decidere di trasferirmi. Poi, come succede per ogni Paese (non credo sia possibile amare un Paese al cento per cento vivendoci), una volta insediata – le cose sono un po’ cambiate. Ho vissuto in vari dipartimenti (Aude, Alpes-Maritimes, Indre, Corsica, Sarthe, Parigi, Savoie, Var) e lavorato con la totalità delle regioni francesi. Conosco molto bene il Paese e la sua Cultura (che ormai fa parte di me). Ho avuto difficoltà ad adattarmi a certi posti per la mentalità della gente e per il clima, ma ne ho sùbito adorati altri aspetti. Apprezzo molto l’efficacia del sistema, la semplicità, l’efficacia della burocrazia e l’ampio ventaglio di possibilità lavorative. La mia regione del cuore è senza dubbio l’Occitanie; il dipartimento preferito? L’Aude.
Per rispondere, quindi, alla tua domanda: Vive la France!

GRIND
Corretto trovi il rutto? Il Volgare, per Te, è etimologico o politico?
Per quanto riguarda il rutto – non ci ho mai pensato: direi che di solito mi lascia piuttosto indifferente e non mi fa ridere quando è ostentato ad oltranza. Il Volgare in Letteratura mi piace, nella vita di tutti i giorni invece non ci faccio caso. Posso adattarmi ad ogni circostanza se serve (ho lavorato anche in un’Ambasciata, anni fa, a Roma), però sono a mio agio solamente quando posso essere veramente me stessa. L’Alien che è in me fa fatica a rimanere nei panni stretti e costretti della diplomatica
[Il Merlo raccontò al Corvo quanto fosse nero, N.d.R.].

HEAVY
Chi e cosa, alle generazioni nuove e future, indicheresti come sinonimo di Heavy?
Paradossalmente: è una parola che non mi parla molto. Se dovessi indicare qualcosa e qualcuno alle generazioni presenti e future – sicuramente citerei i soliti Classici gruppi Heavy Metal. Poi? Non so. Heavy? Mi ricorda la Cucina, ma non mi viene in mente un termine culinario calzante… Heavy Cream (panna intera, rire)! Uah uah uah! Accetta la risata come risposta, perché non saprei dirti di più.
[Ringrazio Ronnie James non Le venne in mente cream pie! Heavy e Hard sono imparentati, ma eviterei dover spergiurare a Sua Maestà l’Algoritmo essere entrambe maggiorenni; N.d.R.].



I.D.I.A.
I Did It Again. Come concateni Pop e Metal – nel tuo rinascere Fenice?
Effettivamente il nuovo nome dell’Agenzia era I Did It Again (ora resta soltanto come acronimo). Ispirato dalla celebre canzone di Britney Spears e scelto perché volevo dire proprio quello e proprio questo (l’ho fatto di nuovo) avendo chiuso l’agenzia a luglio e avendola riaperta a novembre dello stesso anno. Fenice Fiera e Testa Testarda.
Non è mai stato (MAI MAI MAI) un segreto, inoltre, che io ascolti vari generi di musica (Metal, Rock, Pop, Gothic, Opera, Musica latina, R′n′B; et cetera). Nasco come ribelle e continuo ad esserlo. Ascoltare Britney Spears o Rihanna lavorando nel Metal è una sorta di ribellione, mi senti ridacchiare?
[Ecchenunceloso? Passai anni a rivendere, prezzi da strozzino, i cd di Biagio Antonacci a oceani di Bassisti True Metal, in epiche e trite crisi sentimentali, perché non osavano acquistarli – firmando patto di riservatezza, perché potessero poeticamente piangere conclusi in saletta. Immagina Tu QUANTO io consideri Ribelli e Trucidari certi Metallari; N.d.R.].

JOKER
«And dont’ forget the joker». Ti senti «La Matta» scartata dal mazzo?
Fin da piccola mi sentivo diversa. Passavo ore a leggere libri di ogni sorta piuttosto che giocare con gli altri bambini che trovavo noiosi. Mi sono creata un mondo parallelo dove mi rifugio ancora quando il mondo vero fa troppo male o mi mette a disagio. È un mondo popolato da vampiri, fate, gnomi, streghe e animali fantastici; chi mi conosce bene e fa parte della mia cerchia intima ne ha sentito parlare spesso – eh eh eh!
Non mi metto negli stampi (di qualsiasi genere essi siano); faccio come voglio, non mi piacciono le mode e rimango scomoda per la coerenza: dico quel che penso, penso quel che dico, faccio sempre quel che ho pensato e perciò l’ho detto e per questo l’ho fatto. Hai capito! Sono un’Anima libera, un Alien con la mente tormentata dal dover vivere in un mondo simile (segue risata, amara)!
Concludendo e rispondendo: più che matta scartata dal mazzo diciamo che mi autoscarto (e di sicuro non sono ‘la Matta’).
[Giusto. Non mischiamo le carte, belin. La Matta son io, gran figlia di Lemmy e nota Biscazziere; forse avrei dovuto chiederti quanto apprezzi le canzoni dei Jumanji – giuro esistano – ma intervista in chiave alfabetica prevede scelta. N.d.R.].

KILLER
«Smiling like a». Kilmister. Perché, secondo Te, nessuno la ruga a Lemmy?
Premetto che non ho mai amato i Motörhead (come neanche gli altri ‘Classici’) e non sono mai stata fan di Lemmy.
[STOP! Premetto, da Professionista, dovrei essere asettica e neutrale, ma NON sono Isvizzera. Rispettando May: mi faccio forza, ricordandomi di non aver scuoiato chi sostenne David Bowie fosse stonato. Posso convivere con chi non ami Motörhead. Posso. Posso? La mia migliore amica è astemia. Belin, posso. Ha messo anche i röck döts, bella May, bella Lei. Onesta. N.d.R.].
Dama, io penso che Lemmy sia ancora così idolatrato per il suo approccio alla vita, i suoi eccessi, la sua comunicazione senza paletti. La gente è sempre meno abituata a confrontarsi con la verità, preferendo non andare contro la ‘corrente’ per evitare gli scontri e le discussioni (che sono molto faticosi, ma secondo me necessari per una comunicazione fluida e senza problemi). Quindi lui è un po’ un antieroe dei tempi moderni, e questo tiene accesa la sua notorietà, sia per chi ha vissuto quegli anni ed aveva il suo stile di vita, sia per chi avrebbe voluto ma non ha mai potuto essere così.

LUSTRO
Un ricordo che ti rende Fiera?
Organizzo raramente i concerti, ma propongo le nostre band ai Locali, alle Associazioni e ai Festival (e questa è una delle varie differenze che distingue I.D.I.A. dalla maggior parte delle agenzie italiane). Una volta i musicisti di una nostra band svizzera persero tutti gli strumenti nell’incendio della loro sala prove. Ci rimasi veramente male anche io, cosi organizzai un Festival di due giorni con varie band e l’aiuto di un’Associazione lionese per aiutarli. Fu un lavoro immane, ma il risultato ripagò.
[Giuro aver inserito inciso precedente senza aver letto! NON sono stata io a bruciare strumenti degli Svizzeri; N.d.R.].

METAL
Ti tocca. Metal è…?
– Salvezza. Come per tanta gente: il Metal è stato la mia ancora di salvezza nei periodi bui.
– Catarsi. Come accennavo prima: il Metal mi ‘pulisce’.
– Alternativa. Al crimine. Ascoltare Metal (mi) calma la rabbia e (mi) impedisce di commettere atti criminosi, eheheheh!
– Una droga. Uno degli antidoti miei: mi permette di sfuggire alla realtà quando è insopportabile e venefica.

NONNISMO
Ai nostri tempi si chiamava così. Incarnare καλοκἀγαθία (‘kalokagathìa’) quante menate ti regalò?
Sinceramente non mi sento proprio così! Non mi sono mai sentita bella, ma ho sempre studiato e lavorato duro per essere brava, questo sì! Ho sempre gettato il Cervello – oltre l’ostacolo. Non il mio corpo. Non mi sento perfetta per niente, anzi! Non saprei neanche dire cosa sia la perfezione. Indi per cui rispondo che questa condizione non mi ha mai regalato menate.

ODINO
[e batti accento dove timpano tuo decide]. Credi in Dio? In Ronnie James? In? Domanda per addetti ai chiodi.
No, non sono mai stata fan. Sono passata dalla New Wave (The Cure, Depeche Mode, etc…) all’Hard Rock (Alice Cooper, Aerosmith, Guns N’ Roses, etc..) e al Metal Indus/Gothic (Rammstein, Marilyn Manson, etc..); poi di conseguenza al Black Symphonic (Cradle of Filth, Dimmu Borgir) e da lì a tutto il resto.
[Senza Dio, ma battezzata dal Reverendo; quant’è curiosa May meravigliosa! N.d.R.].

POLIGLOTTA
Essere poliglotta – fortifica o mortifica?
Uno dei miei punti forti è la comunicazione, quindi mi sono specializzata studiando linguaggi e lingue. Purtroppo mi sono dovuta fermare a 4 (anche se l’Italiano l’ho un po’ perso avendo vissuto buona parte della mia vita all’estero), ma mi sarebbe piaciuto studiarne almeno una quinta; anche se il Sardo vale come quinta e PNL come sesta. Essere poliglotta mi ha permesso di poter vivere facilmente e spostarmi in vari paesi europei, mi ha reso indipendente e atta a lavorare in vari campi in ambito internazionale. Senza dubbio quindi direi che: fortifica.



QUEEN
Regina o pedina? Scacchi o Dama?
Spesso pedina, mio malgrado, in conoscenza di causa e non! Più che Regina son nata Guerriera e mi ci trovo sempre meglio in questo ruolo. Per quanto riguarda i giochi: né Scacchi né Dama! Mettici una risata.
[Tsk! La Tua o la mia? N.d.R.].

RANCORE
Risentimento e riscatto. Li vivi o ci convivi?
Come tutti: a volte vivo il risentimento, ma poi ci lavoro su, lo faccio svanire, giro pagina e vado avanti. Non ho tempo né energie da sprecare con il risentimento. Il riscatto? Boh.

SARDEGNA
Isolani o isolati?
La Sardegna è l’isola natale di mia madre, parte del mio DNA e su coru miu! Ce l’ho nel sangue e mi sento a casa soltanto lì. Se gli Italiani la considerassero Strange Island sarebbe veramente valorizzata e non sfruttata come è adesso. Le sue ricchezze (storia, archeologia, paleontologia, natura, musei, gastronomia, arti tutte) sono più conosciute all’estero che in continente (dove la associano, per lo più, soltanto al mare meraviglioso). Isolati gli Isolani? Sicuramente. Colpa dei prezzi sproporzionati e della scarsità dei trasporti.

TENSIONE
Tu sei una forza di trazione. Masochismo, Fisica o Dedizione?
Masochismo: a volte, sicuramente. Se ci credo: dono e mi dono fino in fondo, anche quando mi faccio male.
Fisica: cerco di tenermi sempre in forma perché amo essere forte e sto bene solo così.
Dedizione: ci vuole, per forza. Quando si ama deve per forza esserci la Dedizione, senza non è Amore (e parlo di Amore in generale, per le persone ma anche per tutte le piccole cose di ogni giorno). Peccato che anche questo sia un valore ormai scomparso…

URGENZA
Cosa ti preme e cosa ti perplime?
Mi premono con urgenza la necessità di comunicare, la verità, l’onestà, la chiarezza, il rispetto – sempre di più! E sempre più mi perplimono la vacuità, la leggerezza, la falsità, la disonestà e la maleducazione crescenti.

VOLONTÀ
«Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli». Alfieri borchiata, ti fai legare alla sedia o credi basti la forza – di volontà? Credi basti in questo immondo asettico e superficiale?
Per avere una forza di volontà ferrea bisogna lavorare sul mentale. Ho iniziato a lavorare sul mio mentale a 11 anni con un maestro di karate – e non ho mai smesso. La mia forza di volontà è una delle qualità che mi rende più fiera, senza alcun dubbio. Quindi non ho bisogno di farmi legare alla sedia; però: no! Non basta la forza di volontà in questo immondo asettico e superficiale, anche perché troppo è quel che non dipende esclusivamente da noi, hélas.

WE [ARE THE METALHEADS]
Credi sia ancora valido il Motto Doro e i Metallari siano compatti? Impatto sociopolitico è ancora presente? Infutura? Sostiene? Le suona?
Manco Doro mi è mai piaciuta! Cascata di risate.
[A breve scoprirò May, in realtà, sia poetessa bucolica in incognito, ingaggiata dai colleghi che insultai affinché ulcera mia diventi perforante e letale: melena e collasso, belin. N.d.R.].
No, anche il Metal ormai è lo specchio di una società molle e senza attributi. Tutti a piagnucolare e nessuno a muoversi per cambiare le cose. E la compattezza manca crudelmente anche nel Metal in Italia (all’estero è ancora abbastanza facile trovare unione e collaborazione), dove tutti sono in competizione con tutti, e fanno a gara a chi ce l’abbia più grosso (l’orologio) invece di unirsi per creare bellezze e dare possibilità a band meritevoli di rilucere.

XXX
The number of the BEAST! Algoritmo puritano Ti creò problemi? Pornografia di bassa lega è accettata, ma è SEMPRE colpa dei Metallari. Non reputi credano Satana sia idiota esibizionista che sia autodenuncia?
Non credo in Dio, non credo a Satana, non sono puritana ma credo ci debbano essere delle regole per quieto vivere nel rispetto. In ogni società sembra debba esserci per forza un capro espiatorio; colpa dei Metallari? Ultimamente? Non saprei… Bisognerebbe anche smetterla di abbinare il Metal a Satana e a tutte quelle decorazioni cliché che rendono ridicolo lo spartito borchiato. Ormai anche la maggior parte dei gruppi Black Metal (per fortuna) intona argomenti molto più interessanti. E spesso la realtà di ogni giorno è ben più terrificante di Satana e facce pittate. Comunque: le peggio schifezze e abominazioni le ho viste negli ambienti Rock e Gothic.
[E me lo scrivi così? Perché non mi aggiorni? Burzum, ora, scrive canzoni per celebrare Gödel mentre Bon Jovi scuoia cuccioli di foche nane in Antartide con Tilo Wolff per essiccarle, sbrinzarle e condire i fusilli al peyote di Steven Tyler? Belin, è tanto che non vedo Tiranti, ma spero non voglia scuoiarmi per pulire parabrezza. N.d.R.].

Y.M.C.A
Pare il Metal sostenga e fomenti discriminazioni. Zio Halford se la ride; la tua esperienza cosa favella?
Non ho mai visto o sentito pregiudizi del genere nel Metal (anzi!) quindi non saprei dirti…

ZIGGY
Sii Bruja! Chi potrà – oggi – immortalarsi quanto il Duca?
Nessuno! Il vero problema non è la mancanza di Artisti o di band Metal, ma la mancanza di nuovo pubblico attivo e reattivo (cercate e sostenete le band Underground, non sempre i soliti Quattro grossi nomi!). A breve ci estingueremo e non ci sarà altro che trap e monnezza varia!
[Mi garba oltremodo questa chiusa, carica di speranza e fiducia filantropica. N.d.R.]

OSSA CAVE: GINEVRA BALLATI e gli interrogativi Artistici [tra Campare e Campire]

1.      Piove sempre sul bugnato? Sembra refuso ma non è; vorresti e potresti [questa la domanda] esaltare τέχνη? Tu che creasti un nuovo pantone pittorico e spiegasti Keith Haring coi geroglifici: sapresti spiegare all’asilo perché Fontana sia Arte mentre sfregiare un pannello Ikea sia una patologia da psichiatria?

L’acquerello è una tecnica da pessimisti. Si lavora in negativo, dato che il punto di massima luce coincide con il bianco intoccato della carta. Quindi qualsiasi gesto, fosse anche per una singola velatura di colore, crea un abbassamento di luce, cioè un approssimarsi al buio. C’è poi il fatto che richieda velocità di esecuzione – specialmente nelle stagioni calde, quando letteralmente tutto evapora tra le mani e, al contempo, non permetta errori. La possibilità di recuperare un errore esteso è praticamente inesistente: si fa prima a imprecare, bruciare il foglio e poi imprecare di nuovo. Questo porta a mettere in conto [e nel costo] una certa percentuale inevitabile di insuccesso.

Sulla tecnica ho sempre cercato di investire, sia in termini di tempo, sia per quanto riguarda la scelta dei materiali. Quando la tecnica [intesa come insieme di gesti e conoscenze necessari e spogli: senza fronzoli, balletti e riverenze] è veramente assimilata diventa inconscia e tutta l’attenzione può concentrarsi sui contenuti. Detto meglio e più chiaramente: se non devi pensare a come muovere le mani – quello che nasce attraverso le mani è più probabile sia vitale e arrivi a comunicare quel che può.

Per ora il nuovo pantone mi elude, ma nel tempo la mia palette è cambiata e si è definita: un numero limitato di colori, alcuni toni che si chiamano l’un l’altro e che al momento mi suonano giusti. Ultimamente sono sorpresa dalla gamma dei rosa che fino a non molti anni fa, per me, era indigesta e impensabile.

Fontana si è dovuto inventare una lingua e un linguaggio perché la vecchia guardia gli stava stretta e non bastava più per ragionare col mondo nuovo e rinnovato dalla tecnica e dalla scienza [fine della parte rivolta all’Ipotetico Novenne]. Per rispondere al resto: Fontana ha dato il via ad una valanga semantica, volendo e dovendo esporsi alla nuova concezione di spazio e di cosmo ha deciso che servivano nuovi vocaboli e, con la consapevolezza dello specialista, si è messo ad aprire le tele con tagli e buchi. Ha creato fisicamente e chirurgicamente dei portali in modo che lo spazio e il tempo confluissero attraverso la superficie della tela.
È arte ed è genio perché si colloca saldamente nella sua epoca e da lì crea uno smottamento, permettendo un salto in avanti semiotico. Non so se i pannelli Ikea brutalizzati di cui parli si esprimano con la stessa potenza.

Grande ornitorinco celeste, 2022

2.     Dicotomizzi? Che ne pensi dell’Arte e dell’Artigianato? Riformulo: rispetti chi si definisca artigiano anziché artista? Umiltà o Mestiere? Narciso o Miserere? Scocca i Tuoi dardi, per piacere.

Rispetto tutti, basta che siano coerenti. L’artigiano produce cose fatte bene e le produce per vendere: servono, perciò, una certa serialità e la capacità di sottomettersi ad uno standard. L’artista – in teoria – dovrebbe esprimere [anche in senso evolutivo o involutivo] qualcosa di intimamente necessario, vendibile o meno che sia. Insisto sulla necessità, che è individuale e non sopprimibile, perché più ci rifletto e più mi pare un parametro di valutazione affidabile. È una spina non estraibile, l’artigiano puro non soffre spine del cranio viscerale.

Sul narcisismo si potrebbe aprire un capitolo a sé: c’è chi opera per costruire un monumento a sé stesso – e non dico sia sbagliato, ma personalmente sull’allungo lo trovo un po’ stancante, con un sottofondo di muffa e fanghiglia. Tra le varie categorie, che sono tante quanti i diversi modi di stare al mondo, c’è poi quella che a me interessa di più: chi opera come tramite tra quel che c’è e quel che potrebbe/dovrebbe essere. È un farsi medium per eccesso di empatia e il risultato si approssima all’annullamento.
Si prova ad esistere sotto altra forma identificandosi quasi completamente con il soggetto dell’immagine; è una specie di assenza da sé stessi in dosi omeopatiche.

Segale cornuta, 2022

3.     Senza diplomazia – quanto T’inalbera vedano, con sicumera snervante, Te nelle Tue Opere? Il Soggetto deve rispecchiare il Creatore? E se fosse l’Occhio? Metronomo Impalatore? Se fosse? 

Non mi crea irritazione, più che altro curiosità. Quello che creo parla quasi sempre di una parte di me, ma non è mai un autoritratto completo: non trovo interessante farmi un autoritratto, né un altarino. Sono piuttosto visioni parziali di vicende vissute, immaginate o proiettate e modi per essere altro da me pur mantenendo un nucleo fisso. Alla base c’è la necessità di trasformare quel che mi succede per spiegarmelo da punti di vista diversi e cercare di risolverlo in altro modo, in modo altro. O per esorcizzarlo, o per giocarci.

Quando chi guarda ci vede me e/o si vede rappresentato e raccontato – vuol dire che le immagini si sono attivate e hanno cominciato a creare echi e reazioni. Di qui in poi io ho finito: le immagini iniziano a parlare a modo loro e spesso a raccontare storie diverse a seconda di chi le interroga. È polisemia: se sono vive sono polisemiche.
È un meccanismo inquietante perché – a pensare il tutto razionalmente – in fondo si tratta soltanto di linea e colore su carta; è lo stesso meccanismo magico che mi rende sorpresa e grata, anche perché, ogni tanto le persone, trovano il tempo e la voglia di cercare un contatto. Ovviamente la gratitudine viene meno quando mi capitano tra le ali gli “psicoanalisti della domenica”, pronti a spiegarmi i miei processi mentali o i miei presunti traumi.

Nebula, 2021

4.     Campare e campire! La qualifica evade la bolletta? Più pragmatico: CENSURA – ora – FATTURA? Gridare allo scandalo pensi sia l’unico modo per vendere l’Artistico?

La qualifica e lo studio non evadono necessariamente la bolletta, ma ti permettono di soffrire in modo più completo e motivato, il che – è risaputo – fa tanto artista.
Nel mio caso le bollette sono evase principalmente attraverso altri lavori: progetti didattici e editoriali; illustrazioni; opere su commissione. Il difficile è tenere tutto in equilibrio, soprattutto il tempo da investire da una parte e dall’altra.

Gli scandali e i casi vendono, specialmente in un periodo in cui il prodotto funziona se è caricato in senso narrativo, se racconta una storia. Si tratta di avere la scaltrezza, le capacità [o un’agenzia di comunicazione sveglia] che consentano di costruire un megafono mediatico adatto – attorno all’opera e all’artista. Poi possono capitare gli involontari colpi di fortuna e la canea geniale che trasformano il chiacchiericcio in grande clamore per ben 48 ore. L’importante è averne coscienza per riuscire a valutare se sia mero marketing o se sotto, comunque, scintilli la forza della sostanza.

Esiste chi – per inclinazioni caratteriali, per ingenuità, o per ideologia – non riesce ad abbracciare questo meccanismo e si mette, più o meno volontariamente, da una parte a guardare: tale immobilità da statua giudicante favorisce la leggendaria leggerezza sul fronte quattrini e, per qualcuno, l’impagabile frisson della lamentela perpetua [per rispondere al tuo Miserere della seconda che hai detto, Quelo interrogativo].



Lord Nausea, 2021

5.     La Tua Arte è un ossimoro, uno sfottò; un chimerico acquerello – o l’insieme ibrido di questa scheletrica Cariatide che chiamano Vita?

La domanda è già una [molto lusinghiera, molto poetica, vagamente inibente] definizione.

Volendo entrare nel merito devo chiamare in causa le ragioni per cui creo immagini. Uno: perché ho bisogno di spiegarmi – e forse anche spiegare per vie indirette agli altri – alcune percezioni. E ho la necessità di farlo prendendo una strada che sfugga alla razionalità pura. In questo l’ossimoro si presta perché, per sua natura, annoda due opposti e li mette in risonanza per conflagrare due idee lontane generando significati nuovi. In sostanza: le immagini, per me, sono l’uscita di sicurezza dalle situazioni in cui il mio lato iper analitico tende a prendere il sopravvento, pretendendo di inchiodare, sezionare e catalogare qualsiasi esperienza in modalità cartesiana.

Due: per far convivere in modo tollerabile l’alto con il basso, il serio con lo humor, i vivi con i morti [la cariatide è cariata, era cariata fin dall’inizio]. È un modo molto dispendioso – in termini di tempo e scoramento – di gestire la cosa, ma per il momento non ho trovato strade alternative, almeno non praticabili sul lungo periodo.

Tre: per dare spazio ad un ripetuto atto di fiducia [direi fede, non fosse che il termine è per me problematico su vari fronti] che altrimenti non avrebbe spazio. Fiducia che quando ho a che fare con le persone è una conquista che, per ragioni strettamente biografiche, richiede fiumi di tempo, oceani di pazienza e – spesso – secca presto per incomprensioni. Fiducia che invece, quando si tratta di originare immagini, straripa da tutte le parti. E si ritorna all’ossimoro che mi abita e mi sostanzia: «tendono alla chiarità le cose oscure».

Stanza bianca, 2023


Ringraziando Ginevra Ballati per essere – Numinosa Artista che controbilancia [sì, continuerò usare Maiuscole; per etica e per estetica personali] Vi invito attuffarVi nel Suo pneumatico pluriverso pittorico per respirare Arte; per acquistare Arte e Vita: parola di Dainoraptor – dalle Ossa Cave.



In rete: OSSA CAVE ginevra ballati – ossa cave

Mockito ergo Zoom [Sukita Ginevra], 2023, divertissement di Dama Daino; scatti rubati [lodate la comprensiva e ancor più espressiva Ballati]

LO SCANDALO DELLA LINGUA: Luigi Metropoli intervista Chiara Daino

 

L.M. Nella tua scrittura poetica adotti spesso le forme chiuse, metriche ferree e prosodie rigorose. Eppure all’interno dello stesso libro, la varietas di queste forme è sorprendente, come sorprendente è la malleabilità che queste assumono sotto il tuo lavoro di cesello. Al contempo la veste lessicale è completamente ritessuta: parole inventate e altre decapitate, arcaismi che ritornano, preziosismi ed escursioni in registri allotri a quello poetico; in questo smottamento lessicale e ricostruzione linguistica è l’ambito semantico a essere straniato: rimandi continui tra sensi allusi e dichiarati, e soprattutto unità di significato che sembrano attendere l’oralità (o meglio: la vocalità) per assumere ulteriori sfumature, significazioni. Infine la criptocitazione e la riscrittura. Una lingua (e una poesia) che cresce su se stessa. Ci puoi raccontare (non spiegare, ma raccontare) la genesi dei tuoi versi? Restando su un repertorio poetico, quanto incidono i testi altrui (più che letture, direi assimilazioni) nell’elaborazione dei tuoi?

C.D. Come nascono le mie poesie? Sarebbe più facile trovare la fattorizzazione di due numeri primi con più di dieci cifre l’uno – che rispondere, rendendo comprensibile ad altri quel Δαίμων (dáimōn) tutt’ora incomprensibile a me [nonostante mi alberghi in cranio e occupi la mia carcassa]. Spiegare come nascono le mie poesie è come provare a dire che lo spazio può suddividersi in infiniti sottospazi e questi a loro volta, ricorsivamente, in altrettanti frazioni di spazio, quando l’aria che ti separa da un ceffone in arrivo sta diminuendo sempre più: se lo spazio è infinito, un ceffone non arriverà mai a destinazione perché dovrebbe oltrepassare infiniti spazi. E provate a spiegarlo alle gote tumefatte dei miei ex…

Semplificando: come nascono le mie poesie è un processo di gestazione che non conosco e non voglio conoscere [e quanto è palese che mi scelga amici matematici per concertare assurdi paralleli poetici?].

Alle risposte sbavate da Cane di Pavlov preferisco i paradossi alla Gatto di Schrödinger – se solo il pubblico non mi ragliasse invettive confermando l’onnipotenza e l’onnivalenza dell’Asino di Buridano – ma non sarebbe, chiaramente, corretto cavarmela «alla Pratchett»…

Daino, quindi, dirà dei versi e delle liriche – più che delle poesie [termine ormai logoro e abusato, come logoro e abusato è scrivere logoro e abusato]: l’animale geneticamente predisposto reagisce a uno stimolo che l’anima filtra e l’artista perfeziona.

Il pretesto poetico è sempre un pre-testo che si scatena quando la mia cinesfera è biglia di cristallo che si scontra con i globi di granito dell’accadere antropico, tintinnando un motivo: matrëška di sensi che devono, sempre e comunque, concertare suoni. Siano echi di antichi aedi o accordi minori; siano rimbombi metallici o ritornelli scapigliati; siano ripercussioni dell’orecchio onnivoro che conclude il timpano interno – è il ritmo il reale rapace che mi radica. E recupera e rimesta: cultura classica e volontà ferrea, indole bambina e struttura chiodata, sorriso di Sfinge e ghigno da Stregatto, grazia e violenza, ricordi di strada e pupilla lucida. Una leccata e un’unghiata, nella pescina veste ossimorica.

È la continua azione gastrica che infiamma, ingoia e vomita senza possibilità altra: la facilità di parola non si conquista e non si acquista, è innata. L’unica scelta possibile è accipere o remittere, l’Aut-Aut amletico: «To be or not to be, si è o non si è». E se si è – si deve essere: una traduzione assidua, anche quando libera o sbagliata, si deve giurare amore e fedeltà alla parola che ci incarna e ci rappresenta, di maschera in maschera per la varietà ventriloqua che rende unica e nuda ogni manifestazione umana ed artistica.

Per questo sono allergica alla Livella dei mortinvita che ottimizzano ogni metro quadro come un’opera di Romero, per questo non sopporto il continuo gloglottare la stessa identica banale motivazione: «scrivo perché ho qualcosa da dire». Sì, anch’io: ma vaiaffarinculo te, il tuo ho qualcosa da dire, il tuo definirti artigiano e non artista perché artigiano suona equochic, la tua modestia simulata quando ripeti che devono dirtelo gli altri se tu sia bravo o meno, il tuo scrivere poesie per esprimere un’emozione, il tuo straminchia di pistillo malconcio che ti ha illuminato sulla via del Basko facendoti scoprire Bashō per assonanza mistica preconizzata nel consesso del brodo primordiale da un pantheon iperuranico sconosciuto ai più, …

Scrivo perché questo è il mio ruolo, come lo è stato Nina a Teatro o il growl intestino spolmonato di palco in palco. Scrivo perché recito, recito quando non scrivo, canto quando rugghio un diverso attributo per lo spettacolo che sono e che ho scelto: non aggirare l’ostacolo, ma esserlo!

Tre, due, uno: mi accendo una sigaretta e aspetto il rimprovero tritato con spolverata di prezzemolo… Mi offra un Cuba Libre [chiaro e pestato] chi ha capito! E non osate bicellarmi sul musoil detto latino NOMEN OMEN ché Chiara non è mai chiara proprio per onomastica del tria nomina: Chiara è praenomen e nomen è Daino, omen di Dama.

Non è una risposta da poeta, mio Geniale Lettore, ma prego portare pazienza: il mago che svela i suoi trucchi non ama la magia.

[Tra parentesi: da anni, ormai, si incontrano di nascosto, a las cinco de la mañana, contrappunto orario per  tributare Garcìa Lorca, in qualche Bar di Caracas o nelle fosse di Moers, ma non sarò certo io a privare gli esegeti del loro mestiere!]

Sempre restando sulla riscrittura e sul gioco delle fonti, tu hai avuto l’”ardire” di riscrivere Dante, il totem della nostra letteratura, con un testo che si chiama Metalli Commedia. L’esperimento è tanto più scandaloso, se si pensa al palese intento ironico e all’adattamento dello spirito dantesco a quello del metal. Hai inventato/ripreso un ipotetico italiano trecentesco, infarcendolo di riferimenti al mondo della musica metal e al tuo personale. Si tratta semplicemente di una provocazione, di un’operazione che intende “promuovere”, come dici tu, la valenza culturale e poetica del metal o è piuttosto una necessità di confrontarsi ancora con la lingua, al punto di scomodare Dante?

«Si è obbligati allo scandalo, quasi fosse la “prima comunione” con l’indifferente prossimo tuo»: e come Carmelo mi è Stella di Betlemme, così cavalco una cometa in puro stile Manowar. E mettiamo i puntini sulla o di Motörhead – affinché l’umlaut sia impronta definita e definitiva: Metalli Commedia NON è una parodia! Coraggio, Geniale Lettore, ripetilo a voce alta per 4755 volte: «Metalli Commedia NON è una parodia!». Pur essendo entrambi di Genova, «Nel mezzo di casin di nostra vita» [Mondadori, 2011] di Maurizio Lastrico è opera/operazione COMPLETAMENTE DIVERSA da «Metalli Commedia» [Thauma, 2010 – e Case Editrici e  anni di pubblicazione sono volutamente indicati].

Metalli Commedia, come Luigi Metropoli [santo subito!] sottolinea, è una riscrittura. E NON è una riscrittura parodica, nel caso qualcun altro [sì, ho le membrane timpaniche rotte e le retine lese per tante assurdità ascoltate e lette] si sentisse obbligato a confinarmi in un genere che non mi appartiene. Ho amato l’Inferno di Topolino come i Promessi Topi e i Promessi Paperi – ma parodia e riscrittura restino distinte!

Confrontarsi e recuperare la lingua dantesca, le terzine incatenate di endecasillabi, la struttura poematica della Comedìa – amalgamando Cultura e tradizione Metal, feroce critica artistica e sociale, richiami al mondo del Teatro della Pittura e della Poesia, citazioni e tributi, mistilinguismo e generi letterari, traduzioni e prosodia, storia e Stratocaster: è stato davvero un viaggio all’Inferno e dall’Inferno, attraverso i mondi. Highway to Hell che, Blake docet [e Virgin Steele ben lo sanno], sposa Stairway to Heaven.

Nei tuoi scritti c’è sempre un io ipertrofico, sia nella poesia che nella prosa. Non di rado c’è un lato biografico dominante, con riferimenti nemmeno tanto traslati. È più la tua vita ad entrare nella scrittura o è la scrittura ad aver colonizzato la tua vita?

Partiamo dal lato biografico: non bisogna confondere la biografia con la «frittura diaria». La biografia di ogni autore [e di ogni artista] è imprescindibile, così come la sua fisiologia, la sua storia clinica, il tessuto sociale, il contesto famigliare e geografico, et cetera… L’ossessione biografica mi aiutò anche all’esame di maturità quando il commissario esterno mi chiese la differenza fondamentale tra Schopenhauer e Kierkegaard, forse convinto di una risposta basata sulle Opere a confronto. Giacché l’Italiano non è un opinione e «la verità riposa sul testo», scandii sicura: «la coerenza». Iniziai a discettare di Søren e del suo rapporto con Regina, delle accuse d’ipocrisia che rivolse ad Arthur, dell’identità Vita-Opera. Esposizione fieramente verbosa che terrorizzò i miei compagni maturandi giacché il nostro docente di filosofia, per tutto il lustro di Tartaro Classico, ci fece sbarrare il paragrafo biografico poiché trascurabile…

Aneddotica per precisare la differenza tra biografia e diaristica adolescenziale. E non solo: detesto anche il riproporsi dello sciatto interrogarmi «di CHE COSA parla il tuo ultimo libro?» – trattandosi di quesito mal posto. «Di CHI parla il mio ultimo libro» è l’interrogativo pertinente, discettando di UMANE LETTERE e l’Umanità è una cascata di collisioni biografiche.

Ficcando le granfie nello specifico della mia scrittura: mai avuto la vocazione da eremita [forse da trappista, ma non da eremita] e troverei ipocrita strutturare una rima di frattura senza che il mio scheletro ne avesse memoria. Rem tene, verba sequentur, giusto? Devo possedere l’argomento prima di metterlo a segno parola e attraverso quale processo? Non era forse l’umbilicus ad incollare i fogli di papiro? Ho macinato più chilometri intorno al mio ombelico di quanti ne assommano insieme Marco Polo, James Cook e Naomi Campbell. Pure: pubblicai solo DOPO essermi confrontata con ombelichi estranei…

Un critico [che poi è Jacopo Riccardi, l’esegeta mio unico] mi riassunse come «pontefice in senso etimologico»: e come potrei vivere da ponte, come potrei scrivere da ponte – senza scortecciarmi la carne? Non ho paura delle ferite perché ho troppa fame e m’attuffo decisa, identità multipla, cosciente di quanta Bellezza e quanto Orrore regalino i traffici sociali. Mai erigerei alibi per non tendere l’arco: βίος e Bias. Di conferma e di verifica per il mio investimento umano.

Controcanto e contrappasso: la scrittura colonizza e condiziona ogni mio respiro e, recentemente, anche ogni mio rapporto, reso un rapporto anaforico grazie al reiterarsi di una monotona convenzione linguistica

– E tu cosa fai nella vita?

– Non faccio un beneamato. Sono

– E cosa sei?

– Non una cosa

– Cazzo se sei acida

– E fastidiosa, me ne rendo conto…

– E chi sei?

– Sono uno scrittore

– Sei un maschio?

– No, un uomo di genere femminile, ma ti risparmio il casino creato dal protofrancese e le ripercussioni storiche date dall’eguaglianza HOMO = VIR

– Però, parli davvero difficile. E cosa scrivi?

– Libri?

– Intendevo, libri di cosa? Di cosa parlano?

– Non di cose, ma di chi e di come

– Cheppalle! Non capisco quando parli, ma di lavoro cosa fai?

– Questo

– Dico sul serio…

– Anch’io

–  Non sei famosa come Faletti o Saviano, Camilleri o Carofiglio, come ti mantieni?

–  Come tutti. Sopporto, combatto, resisto. E Mangio poco

– Ma da quel che vedo bevi tanto e fumi troppo. Cos’è? Mancanza di autostima? Autodistruttiva da manuale o ti piace fare la figa incompresa? Vuoi farti la reputazione di artista maledetta?

–  No, Benedetta. Mi nutro di Carmelo

– Cioè? Questa non l’ho capita

– Sopravviverò anche a questo dolore

– Sai che anche io scrivo?

– Mi sarei stupita del contrario…

– Ti trovo in rete? Magari ti mando qualcosa di mio…

– Fammi indovinare: poesie, racconti brevi e un abbozzo di romanzo che da anni non riesci a concludere…

– Come lo sai?

– Ti ho mentito. Sono una strega

[…]
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