MUSICISTI? PARLIAMONE…

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For too long now

There were secret in my mind

For too long now

There were things I should have

said

Subito: è troppo il tempo

dei secreti chiusi in cranio.

così tanto tempo dall’ora

era quanto – avrei dovuto

dire

[ Tears Of The Dragon, Bruce Dickinson ]

MUSICISTI? PARLIAMONE…

Musicisti? Parliamone…

VI AMO [ e lo sapete ]. VI ASCOLTO [ senza distinzione di genere ]. VI APPOGGIO [ e ne scrivo ]. Ora è ora di dirvelo: non dimenticate! Non siamo SNORKY e non siamo «tutti amici e perciò felici». Non dimenticate: se è il caso – VI AFFRONTO. E sfodero la lunga lama delle humanea litterae. E la chiave [ di volta e rivolta ] è il termine: HUMANAE. Per scelta non scrivo [ quasi mai ] critiche negative, semplicemente perché il principio per parlare di Musica è lo stesso per parlare di Poesia: non esiste una brutta poesia o una brutta musica. O è Poesia o non lo è. O è Musica o non lo è. Punto.

Premesso questo, la soggettività del singolo scrivente [ io ] non si sdilinquisce, non sciorina complimenti “ad minchiam”, non si schiera dalla parte di chiunque si dica: artista/artigiano/artistoide/artefatto, …

Oggi l’urgenza è: dire basta! Sono stanca: inciampare nel vuoto mi stanca. Sono stanca di chi continua – imperterriti imbecilli – a dirsi, a ribadirsi: migliori. Migliori come musicisti, migliori come baristi, migliori perché? Perché maschi? Per onniscienza infusa direttamente da Priapo? Migliori perché abituati a scambiarsi pacche sulle spalle? Migliori perché il confronto è col compagno di merenda, col vicino di casa, con il ragazzo che ha appena imparato il giro di do?…

Se vi parlo di pagina, di palco, vi parlo con coscienza [ di causa ]. Non basta il talento, non basta la tecnica: ci vuole la tensione del carisma. Non basta credere: bisogna convincere. E molti di voi sono arrivati a credere a tutto quello che dicono, a tutto quello che si raccontano. Senza più: rispetto. Senza più: metro critico. Senza più: coscienza storica.

Un precetto per chi “prosa” è: assomigliare a ciò che si scrive. E allora vi chiedo, voi assomigliate alla vostra musica? Allora vi chiedo: rispetto! Io ho SPOSATO il mio mestiere [ che vi piaccia o meno: è un mestiere ]. Nessuno mi conduce all’altare – né per maritarmi né per immolarmi. Vi chiedo: è un problema il mio corpo di donna? Mi chiedo: perché devo sentire una riga di stronzate? Rispetto, ragazzi, rispetto! La mia sacrosanta gavetta continua. E non si improvvisa. Mai! In nessun campo. E voi tuttologi – tuttofare – tuttochiosare avete mai ipotizzato che il pubblico sia digiuno? Avete mai – anche solo per un mero contatto neuronale – pensato che il pubblico legga di musica? Mai vagamente sfiorati dal dubbio che chi scrive non sia un’adorante automa pronto ad esaltarvi a prescindere? [ Per carità, solo gli autori e gli attori devono ingoiare stroncature, giuste/ingiuste che siano…]. Oh molta massa di musicisti/musicanti/musichieri, magari prima di ridermi in faccia – perché non provate [ almeno ] a rispettare la professione? Perché, tronfi hobbysti del sabbato, questa è una professione: palco e pagina mi procurano la pagnotta! E ha ragione l’inetto che mi disse: «professionista del cazzo!». Anche se avrei preferito: «una cazzo di professionista!». Se si vuole “giocare” con le parole: si deve sapere – è un gioco GRAVE – la tomba si termina a colpi di lingua…

E quali termini/titoli vi firmano? La vostra scelta coraggiosa? La vostra scelta di vita? Se scegliete gli accordi: IMPARATE a scegliere anche le parole quando vi rivolgete a qualcuno che non conoscete! [Your momma told you that you’re not supposed to talk to strangers – e si cita Ozzy]. E quale senso/scopo imprimete ai vostri spartiti?

Se sul palco [ Nota Bene, Rapallo, 12/12/2008 ] canta Fabio Lione e suona Pier Gonella abbiate la decenza – se non la sapienza – di: togliervi il cappello e rendere grazie. E imparare da chi: è. Ed è: grande. Decisamente più grande di voi. Serata cover. E se le cover sono interpretate da Lione/Gonella diventano: originali. Talento e tecnica, professione e personalità. E questo: con l’occhio/orecchio del pubblico. Si aggiunga tutta la stima per quel “saper tenere il palco, saper stare sulle scene” – che tanto anima la mia radice attoriale. Fabio Lione e Pier Gonella NON devono più “dimostrare”. Né io – recensire. Semplicemente: mi inchino. E tributo il giusto. Questo perché chi scrive NON è una musicista. Pur: valenza testuale, presenza scenica e comunicazione – sono sfere a me note.

E non posso tollerare [ non più ] la livella che vuole tutti sullo stesso piano. Lasciate alla Tv di prostituzione l’idea che tutti possano fare tutto. Essere o non essere. E questo – rimane. Lione è. Gonella è. Arte. Punto.

E a capo. Lo dico: e ve lo ripeto, nel caso foste impegnati a farneticare. E ve lo dico con le Parole, le Parole che Operano e rimangono. Le Parole che (in)segnano:

La porta della storia è una Porta Stretta

infilarsi dentro costa una spaventosa fatica

c’è chi rinuncia e dà in giro il culo

e chi non ci rinuncia, ma male, e tiri fuori il cric dal portabagagli,

e chi vuole entrarci a tutti i costi, a gomitate ma con dignità;

ma sono tutti là, davanti a quella Porta.

[ P.P.P.]

Chi passa di là? Al momento chi scrive – passa al di là [ impara più dai miti dei morti mai morti – che dai vivi morti in vita ]. Quello che dovevo/potevo/volevo – vi ho detto. E sono io chi: non vuole più “avere a che fare” con la molta meschina melma. Ho da fare, da fare anima. Essere non è dato semplice. Scrivere non è sterile. E se non sai, non sporcare le parole. E se non sei, non pronuncio il tuo nome nullo. A ognuno il suo [ carretto ]. Ci vediamo a dramma finito, a bocce ferme, tra un paio di secoli, …

Sarà solo la Storia a mettere la parola: FINE!

There is a WORD

Which bears a sword

[ Emily Dickinson ]

Chiara Daino

 Continua su…
http://www.genovatune.net/live.php?id=350

VINCENZO PASTANO

http://www.genovatune.net/recensioneExt.php?id=508

VICENZO PASTANO: «IL TRISTE VERO»

 

 

 

 

«The saddest noise, the sweetest noise,
The maddest noise that grows»

 

«Il suono più triste, il suono più dolce,

Il suono più singolare che sorga»

[E. Dickinson]

 

 

Vincenzo Pastano [accompagnato da: Antonello D’Urso (Chitarra), Ivano Zanotti (Batteria), Michele Turchi (Basso), Alberto Linari (piano e Tastiere)]: compro verità

 

  • Il giardino dei fiori morti
  • Non ritorna più
  • Per non morire
  • Ragni d’oro

 

http://www.vincenzopastano.com/

http://www.myspace.com/vincenzopastano

http://www.myspace.com/doctorstudios

 

 

 

Prima l’Uomo – e poi: la sua versione compressa. Compro verità è dichiarazione di intenti/incanti: Vincenzo Pastano fissa la realtà come fittadensa distesa di dolore.  «Non mi lamento» – precisa – «soffro in musica» e stende: estende le corde negli spazi di vita chiusa nella teca dai vetri oscurati, riflette al di là –  della “nera cortina” per vedere oltre e dentro l’autòs [ad esso – senza mentire]. Lontano dal senso solare di felici/facili motivi, Vincenzo “romanza la morte” con sincerità, quella “morte” che è: continua, catarsi e catastrofe [lo spartito è s-cambio, si rivolta ogni intimo sentire]. Sono s-brani sinestetici: «penso per suoni e ogni pezzo è un colore che non sia il giallo». E suggella l’urgenza di suonare: sale sul sangue, sale sul palco, sale la lacrima di chi non maschera – il triste vero.

Colpisce il suo essere: “cantore del Pathos” – l’emozione suscitata nell’ascoltatore [Aristotele docet] è il solo scopo. Entrare in contatto nel cerchio che è credo: e sposa –  i segni, siano cicatrici, note, parole. Un autore che “legge” i Cure e cita Emily Dickinson, nei passi, nei solchi di Alda Merini e Type O Negative, insieme. E proprio le liriche puntellano ogni [suo] costruire/creare: una poetica che parla italiano. Per non tradire, per tradursi al meglio. E le sue “verità” sono ventaglio ti timbri e tempre [con testi di Luca Carboni, Andrea De Luca, Barbara Cola, Fabrizio Bordogna, Giacomo Barbieri, Alberto Despini, Giovanni Marinelli, Igor Macchia].

Ogni traccia impronta la ricerca dei suoi “simili”, l’istante condiviso, compreso, mai concluso: «la Musica non finisce» – e procede. Ragno d’oro intesse i fili rossi, tendini e timpani. Teso nel contatto. Con l’altro: occhi che scandagliano/scandiscono il particolare, «un eccellente osservatore, una non comune  umiltà» – sottolinea Michele Turchi. E chi [ne] scrive lo conferma: in tanto, troppo [!], sfoggio di pavoni gonfi, Vincenzo non vuole e non deve dimostrare [suona con Luca Carboni dal 2004, ha collaborato con Lucio Dalla, Stef Burns, Fede Poggipollini, Marc Ursell, Beppe D’Onghia, Barbara Cola, Roberto Terzani, George Mann, N.d.R] ­– si dona e si dedica. A chi può e sa: ricevere.

La verità: la radice di chi crede, conforme al Reale – l’amalgama resa, si alza e si segue. Eleva, esegue: volume al volere.

On y va…

 

Chiara Daino

 

 

 

SANTOROCK 2008

 
29 aprile 2008 – SANTOROCK
Penelope Beach, Genova.

c.d.: Più che recensire – credo – in primis – si debba: restituire. Il valore LIVE della serata.
Si sottovaluta sempre la messa in atto dello spartito, ne convieni?

d.a.: Concordo. Sempre più spesso si tende ad arrivare ad un concerto quando magari un gruppo sta già suonando, perdendo così tutta quella parte di preparativi che rende grande un evento. Si perde insomma tutta quella parte iniziale che regala sempre piccole gioie di comunità che non sono altro che piccole dimostrazioni di come la musica possa unire e creare arte dall’arte.

c.d.: Concerto richiama e concertatum e consertum – e qui, è qui la scintilla dei gruppi: la comunione. L’evento, le emozioni – condivise. Ho visto [sgrano di occhi in festa] cantanti abbracciare cantanti [nel pre, nel post], cantanti abbracciare musicisti, dialogare col pubblico confrontare progetti, pulsioni, polemiche….Quello che non accade in altri settori [e si rimanda ai fastidiosi poeti-poeti]. L’accadere naturale – come la scenografia che sottolineava l’evento…
NON SI PUÒ APPLAUDIRE CON UNA MANO SOLA! e gli artisti del SantoRock hanno esaltato la bellezza di un semplice – quanto mai scontato – docet.

d.a.: Scenografia che, come dicevi tu, non poteva decisamente essere migliore, per un evento che segna l’inizio di un periodo di festival estivi. Immaginate una spiaggia al calar del sole, con gli ultimi raggi che sprigionano quel calore che non chiede altro che di abbracciarvi prima dell’avvento del tagliente freddo serale. Immaginate un mare piatto, scuro ma caldo al tempo stesso, che incornicia un palco circondato da anime in festa per tutto quello che succederà nelle ore a seguire. Un palco con casse che fuoriescono ad ogni angolo. Un palco con lampioni che parevano vere e proprie marionette venite fin lì solo per assistere loro stesse all’evento. Un palco con bambini che muovevano i loro primi incerti passi, inseguiti dai genitori con gli strumenti in mano. Immaginate tutto questo, e socchiudete gli occhi. Perchè la musica, oramai, sta per iniziare.

c.d.: Dopo la Foscoliana descrizione del Pazu – preda dello sturm und drang – si passa allo sturm und drum! Mentre Valle, Santa Donna, è alchimia che collega e colleziona demo – volti e voci note: Machine Gun Kelly, Bad Boys of R’n’R, Accidia… Il front-man dei Pornoshock [prima della metamorfosi, della muta carismatica/cromatica] sorride tra il check sound e la disperata ricerca di un bagno; il cantante dei Gandhi’s Gunn supervisiona e sostiene tutti; noi di Genovatune siamo in attesa, in cerchio [a criticare chiunque si improvvisi – e, pronto, il BASSISTA PURO sfodera la carta d’identità. Alla voce: professione – risponde la scritta musicista. La vita di chi si consacra [ e Santo non è attributo casuale, ad rock, ad hoc]. Tempo di ribalta e di/da scaletta…

d.a.: L’onore di iniziare a lasciare che i toni comincino a diffondersi per l’aere tocca quindi ai GANDHI’S GUNN e al loro stoner dalla presa immediata. Suoni pesanti e canzoni possenti, ritmiche incalzanti. Avevo già avuto la fortuna di assistere ad una loro performance in precedenza, e ciononostante rimango sempre colpito dal continuo miglioramento. Il pubblico inizia poco per volta ad aumentare, e si avvicina con occhi incuriositi verso il palco, mentre le teste iniziano ad ondeggiare annuendo a suon di musica e metallo.

c.d.: … e sia: NOMEN OMEN. E loro sono presagio: dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere – e si fiuta il nuovo, il giovane che contamina e carica [a testa dura a testa alta] – contro ogni muro. E ancora: chi perde la sua individualità perde tutto e Gandhi sposa il ritmo – di uno scandire preciso, originale e origine – del mondo che non tarderanno a rendere proprio.

d.a.: La luce è oramai un ricordo quando viene il tempo degli ZERORESET. Classica formazione a quattro, come se fosse una dichiarazione di intenzioni di quello che andranno a suonare. Impatto sonoro, con suoni graffianti e chitarre melodiche che non faticano ad andare a raggiungere perfino le orecchie di coloro che stazionano nelle retrovie. Impatto sonoro, con una voce portavoce di tragedie e sofferenze, come se volesse mondare il mondo con la sua presenza e l’aiuto di quei tre strumenti che la circondavano fieri ed ostinati.

c.d.: Dichiarazione che conta e chi conosce – inizia sempre a contare da Zero. Cavalcando una cometa, da Betlemme alla Superba – l’impasto e l’imprinting è immediato: in ascolto. Nessuno a prevalere, forze calibrate, giuste dosi. E amalgama resa. Per una manovra diversa che rende giusto/gusto il/al tutto. Come si commenta [e ci si complimenta] con Mik, il sopra-citato bassista puro che è parte della parte che tutto resetta. E si riparte e si riforma. Con i FUNGUS…

d.a.: Con i Fungus i suoni si attenuano un po’, ritrovando parte di quella pace e quiete acustica che non significa per forza di cose tranquillità. Le sonorità sembrano assumere qualche anno in più sulle spalle, con una ruvidezza compositiva che sembra mancare nell’ultimo decennio. Salta la luce.
Salta la luce, e tutto tace per qualche secondo, tranne la batteria che continua il suo cammino imperterrita e sicura. Salta la luce, e il pubblico grida. Torna la luce, ed il pubblico esulta. I Fungus riprendono il loro cammino da dove avevano interrotto.

c.d.: … e aggiungono peso all’anima [dai 21 ai 25] – ogni nota è grammo – per la loro ricetta che miscela più radici – e servono l’impasto caldo, vibrato e sotteso. Una cifra altra dall’essere frutto/figlia del caso. Capitolo PORNOSHOCK: Chapeau al Carisma! E si apre il sipario: la presenza scenica – per chi pratica altri Palchi – è applauso di pupille in festa. S-brani di rose e specchi e goduria del gioco. To play: è corda è corpora – tesi – protesi al pubblico, investito, travolto, complice. Tra denuncia e divertissement – sangue in fieri. Senza perdere una battuta.

d.a.: Poche sono le parole che ancora non sono state spese sui Pornoshock, e quindi mi vergogno quasi a cercare di descrivere ancora una volta il loro rock che aggredisce e culla allo stesso tempo. Il Giallo [oh, se si chiama così non è colpa mia] è un ottimo conducente per quel treno di desideri voluttuosi e carnali accompagnati dalla gioia di incrociare ogni singolo strumento in un’esibizione accaldata e vissuta fino all’ultima goccia di sudore.
Vorrei non invecchiare dentro, solo per poter avere ancora la possibilità di continuare ad assistere ad un altro concerto dei Pornoshock. Vorrei non invecchiare nel tempo, per essere ancora qui, domani sera, a sentire ancora una volta ogni loro canzone. Vorrei non invecchiare mai.
Trova un difetto e saranno perfetti. Trovalo, se ci riesci tu. Io, proprio non riesco.

c.d.: Un difetto? Il vocalist mi promise la rosa che poi – soavemente – dilaniò… E il gambo reciso fu raccolto [cimelio/feticcio] da fan in prima fila [ma gli si perdona tutto;)]. In compenso sfoggio con piacere la spin dei VANESSA VAN BASTEN [tra gli entourage più attivi e coinvolgenti]
E siamo al dulcis in fundo…

d.a.: Ed è proprio dolce il naufragare in quell’ultimo mare che sono i Vanessa, perchè riesco sempre a farmi cullare dalle loro sonorità come se fossero una ninnananna in versione macabra e distorta. Forse non è proprio il genere di musica che consiglierei ad una neo-madre per far assopire il proprio figlio, ma so che resterò con il dubbio finché non proverò. Il pubblico chiude gli occhi per ascoltare con più attenzione ogni singola nota che si sprigiona nei minuti in cui il gruppo è sul palco, e non riesco a dar loro torto. Non riuscirei a vincolare la musica dei Vanessa Van Basten in una definizione che li avvicini a questo o quell’altro gruppo, o che li rinchiuda in un genere musicale.

c.d.: «Ho visto mille volte che gli angeli hanno forma umana e mi sono intrattenuto con loro come l’uomo si intrattiene con l’uomo, a volte con uno solo, a volte con più di uno, e non ho visto nulla in loro che differisse dall’uomo in quanto alla forma. Affinché non si potesse dire che si trattava di illusione, mi è stato concesso di vederli in pieno stato di veglia, mentre ero padrone di tutti i miei sensi ed in uno stato di limpida percezione.» – ed è chiaro spartire – col pubblico – quella stanza, quell’aria piendi echi [Swedenborg e la consapevolezza che le parole sono segni, così le frasi, così i fraseggi]. Il mood est modus. Nomina sunt Numina. E i Vanessa sono l’atmosfera del bios – che trascina.

d.a.: E come tutte le più belle cose, anche questa sera volgere infine al termine. Ma non la musica, che grazie alle capaci e possenti mani dei ragazzi di VOLÙMIA [Renna & Co] continua a infrangersi nei cervelli, nel centro – che ferma. Le ultime canzoni dopo quest’orgia di emozioni e sensazioni che si perdono nel buio della notte, ma non si spegneranno sotto la luce dei ricordi. Le ultime canzoni prima di chiudere gli occhi, ed è subito l’alba.

c.d.: Si lamenterà [lo farete, tranquilli!] che questa non è una VERA E PROPRIA recensione. Stretti all’etimo: rècenseo – si è passato in rassegna – chi già è. E sa. Stanchi degli emergenti a vita. Quando è tecnica, è consapevole strumento, quando è studio, talento e credo. Quando le basi sono solide. Da tempo. Dai tempi e dagli accordi incisi. Non resta che: SENTIRE. Muovere il culo e il collo [headbanging dei sensi] – e ringraziare. Nell’a presto del BIS. Nel ricordo di Dino Basili: il sordo peggiore di quello che non vuol sentire è quello che non ti fa neppure aprire bocca perché è convinto di sapere già tutto.
E Ike Turner ringrazia.

  Daniele Assereto e Chiara Daino per Genovatune

Chiara Daino e Daniele Assereto

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