MASTER DESIRE & LADY LIBIDO

 http://www.chiaradaino.it/novita.asp#37

Lunedì 21 giugno 2010, ore 19.00
@ BLAm, via Ronzoni 2, Milano
MASTER DESIRE & LADY LIBIDO
NUOVA LETTERATURA FANTASY, Edizioni Eumeswil
di Giovanni Agnoloni
VIRUS 71
, Edizioni Aìsara
di Chiara Daino
presenta la serata:
Franz Krauspenhaar

Mercoledì 23 giugno 2010, ore 18.15
@ Joshua Tree, via della Scala 37 r, Firenze
MASTER DESIRE & LADY LIBIDO part II
 

 Vieni con me.

 

Con chi ti chiama per esteso. Vengo da te per distendere bene – per allargare: spalanca i sensi. E lasciati agire. Io sono la parola carnale, il corpo del testo, la fuori fuoco: la luce mossa per prillare il gergo Gavroche [non vista, silvestre la rabbia: vettore di volpe].

Vieni per me sulla pelle che vesto con cura: ho un’anima di carta. E latina. Riesci a svolgermi? Vieni da me: perché? Che carapace canti? Hai nuovi petali per i miei passi? Di menda ti manti? Nuova nebbia dipani? In questa tenda sono passati [e molti] li vedi? Sono appesi alle persiane: la cornice non mi chiude. È la mia natura: non si possiede, si rispetta. O rovina.

Io voglio solo colorare. Hai pronomi pastello? Vivo da Vanessa Vulcano. Esplode l’effetto farfalla?  Io chiamo un’altra lingua. E allora guardami: che specchio spoglio? Quale schianto rifletto? Ho rotto il margine: ti piace l’intarsio a chiave? La doppia mappa, a metà misura? Sensuale e congenita, cristallo che si caglia, una valigia di tango e seta. E lo so, lo so che non mi segui…

Sono labellum di siero, apifera dello Zingaro[1], un chicco crema la mia cuna. Sdrucciolo: snodo brina bollente. Mi spiego? Tu ti limiti – a dire: «sembra finto» [se vedi il vero], «sembra vero» [se fissi il finto]. Chi imita chi? Dimmi, Burattino, che fine ha fatto: la tua coppia di carbone? Mastro Ciliegia vanta: stivali di serpente. E truciola turchini…  

Oggi mi è sorto un boccolo: acconcio i miei capelli in un esametro. Doppio e fuori misura: fiori di zucca e sfioro lo zaffo, incollo il bouquet per punto pigmeo. Una brocca bambina, capiente concavo. Duro, se vieni: offri da bere. E me lo godo: chiaro e pestato. Salsa che suggo, che strazio. Scendi in pasto: una sola beccata – e ti mangio. Sei ancora qui? Un altro tu – oppure l’esso di prima? Regina di crani cala un due [si picca e non si pecca]. Risparmia fiato, tempo, fatica: come puoi raschiare il mare? Una goccia a bottone? Hai nastro senza voce, sei solo rotto refe – non puoi: non scuoti i soli. Non la sonora spera – indori. Dei quattro sono la Carestia. È allarme. Una sirena, mi dici? Non pericoli, non ascolti. Si vive in maschera, ma si morde nudi. Li vedi i segni? Io li ho attraversati. Globuli e talami. E tu? Leva le fasce – non reclamare: è tutto tuo il piacere. E poi? Ti taglio la coda. Ti lascio la corda: ti gonfi, Gallus Sina, sine flexione. Banale bruco di fango e feci [non hai mai violato: la mia crisalide]. E ti alletta e ti allerta: ellera felice non è facile da fucinare. 

Questo buio è misto: è dentro. Non tu o come te  a spegnere il mio croco: sono tutta sezione sottile. Prisma polare. Il mio verbo copula, il tuo? Ogni tanto paupula…

Zigare di coniglio Amami Oshima, se si zinna è bàlia, se s’impenna: è Zaìra. Colei che sia e tu non vuoi volerla [non sai sedurla]. Non sai entrambe, né le reazioni. La chimica gitana la insegna la rosa di Fatima.

Non si schiuma senza l’acqua, non si scova il cardine del cosmo, se coli bronzo: rivedi la piramide. O lasciami: nella ruga di un perché. La risposta è semplice: poni troppe domande. E la vita si afferma solo con la vita. E si prenota nel punto del come coito.

Io non rimando: io sento. È vero: è l’arco. E non sono l’ablatore [per la bocca che hai smesso di nettàre]: io sono l’esclusiva – e non recito composta [e ti ribalta e ti rivolta]. Le tue non gesta.

Vuoi vedermi venire? All’Asta? Galleria dell’orrido? Tu turpe, cava carnefice, togli gli aculei, i tuoi gammari[2] gangheri – dalla mia gràmma grata: imprimi di bava la mia veste grafica! E non consumi, e non impari: la bellezza dell’atto puro. Quello che.

 

 

Tutto quello che.

 


[1] L’Ophrys apifera [fioritura: marzo – giugno] è una pianta [selvatica] appartenente alla famiglia delle Orchidaceae, ospitata dalla Riserva naturale orientata dello Zingaro. Labellum, labello è una parte del fiore delle Orchidee

[2] Gammari: il gammaro è un crostaceo anfipodo [pulce di mare]. Si nutre di piante in decomposizione e costituisce l’alimento principale di molti pesci [N.d.A.]

NESSUN DORMA!

Della Città Barbara: http://www.genovatune.net/articolo.php?id=179

DELLA POETICA DELLA PENISOLA

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Poetry Night. Notte della Poesia. Neverending Night. Notte continua e cronica: nel come si cronaca – “la Poesia è morta”. [ E i poeti? Clonati. Come pecore: pullulano e paupulano nel recinto asettico dell’Arcadia artificiale… ]. La Poesia non è morta. Il mortifero/morticida “miserere” mortifica e massifica. E ne sono certa. Convinta r’esista: ottima Poesia. Come pessime persone  [ che si dicano poeti NON è un problema mio ]. E carico il miocardio: mettiamo i puntini sulle ” O ” di  Motörhead! Non ho NESSUNA INTENZIONE di rinunciare al progetto, al palco, alla poetica metallica. Alla mia vena venena.
Lo studio serve. E vi ha reso servi. Enciclopedici tuttologi reazionari passatisti poetologi miei – servi che non mi servono. Che non chiedo, che non chiamo: uno status. Io sento. Sento come chi sente. La frase felina e ferina: “TO SEE, TO BLEED CANNOT BE TAUGHT”. Lo sapete? Lo vedete? Vi piaccia o meno: è un dato. All’anagrafe. Nel prima nel poi [ augurandovi tutto il vegetare possibile ]: dovrete farvi da parte. Sorridete: tocca a noi. La parola prossima.

chi deride, chi affolla il varco

e si taglia la gola, l’un l’altro,
come neve sciolta – sfuma


ai loro occhi saremo sorti

noi: con le pupille in fiamme!
e allora: chine le loro teste
vili e deposti i loro cuori

 

noi – a ridere – dei loro scudi

di sensi. loro a cedere – a carponi.

e sarà chiaro per tutti. sarà chiaro:

questi cuori: sono stati. fusi e saldi:

Metallo. Troppo duro da spezzare

 

Troppo duro per essere – stretto

DA: LUPUS METALLORUM

Piccola premessa: nell’iconografia alchemica il Lupus Metallorum è il Lupo dei Metalli che divora il leone per liberarlo, è il procedimento per raffinare l’oro impuro mediante l’antimonio. Nell’iconografia classica l’Aurea Poesia sposa Petrarca e non, ad esempio, i Pantera. Nell’immaginario collettivo il “poeta contemporaneo”, nuovo cantore della nostra epoca, può vestire i panni di un cantautore [ serio, posato e socialmente impegnato ], ma non il chiodo, gli anfibi e le borchie. E perché? La Repubblica delle Lettere, la solita cerchia – incensa e canta la solita solfa: «questa è Poesia!», «questa non è Poesia!». E perché Fabrizio De André è un poeta e Dave Mustaine no? Da questa semplice domanda è nato tutto. Due o tre anni fa, convocata per l’ennesimo reading poetico, declamai Il Triste Vero, con strette di mano e complimenti per versi “particolarmente incisivi”. E fu la prima volta che sorrisi, la prima volta che ammirai [ candida carogna! ] i critici presenti – impallidire. Non pensavo potesse essere “sconvolgente” rivelare che, in realtà, Il Triste Vero è semplicemente una traduzione [ poco letterale, per carità, ma sempre di traduzione si tratta ] di Sad but True dei Metallica. Eppure successe: i “poeti puri” impallidirono, gridando: «sacrilegio!». Eppure succede ancora: i “poeti puri” impallidiscono quando, alle presentazioni di “libri seri”, vedono nel pubblico uno “strano gruppo” vestito di nero, con i capelli lunghi e lo sguardo attento…

E così, quasi per sfida, quasi per gioco [ un gioco grave, la tenera tomba che resuscita emozioni ] nasce Lupus Metallorum: canzoni di metallo nobile. Traduzioni che seguono il suono, che piegano l’italiano al senso di comunione, lontano dai pregiudizi, lungo il monito di Majakovskij: «leggete libri di ferro!».

 

avvertenza per i poeti puri: questa è la mia Poesia. Questa è la mia dedica: Ha messo la sua testa il domatore/nella gola del leone/io/ho infilato due dita solamente/ nel gargarozzo dell’Alta Società/Ed essa non ha avuto il tempo/di mordermi/Anzi semplicemente /urlando ha vomitato/un po’ della dorata bile/a cui è tanto affezionata/ Per riuscire in questo giuoco/ utile e divertente/Lavarsi le dita/accuratamente/in una pinta di buon sangue/A ognuno la sua platea [ Jacques Prévert ].

A ognuno la sua platea!

 

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E si ringrazia: Cesare Oddera & Raindogs House, Mirko Servetti e chi.

Sempre: Daniele.

E si croma: a Savona…

Chiara Daino